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Bilinguismo: svantaggio o opportunità

Bilinguismo: svantaggio o opportunità?

di Stefania Feriti docente di scuola primaria presso la scuola primaria bilingue Little England di Brescia

La presenza dell’educazione bilingue nella dimensione europea è ormai evidente se si considerano gli sforzi fatti sia a livello dell’Unione Europea, sia da parte di esperti e di insegnanti sul campo, nella promozione di modalità di insegnamento ed ambienti di apprendimento sempre più legati al bilinguismo.

L’Unione Europea ha sottolineato da diversi anni la necessità che ogni cittadino sia in grado di usare la propria madrelingua e almeno due delle lingue usate nell’Unione. Lo stesso Consiglio e la Commissione Europea, nel 2004, affermavano che

“tutti i sistemi educativi dovrebbero assicurare che i loro allievi dispongano alla fine dell’istruzione secondaria, delle conoscenze e delle competenze necessarie a prepararli al loro ruolo di futuri cittadini europei. Ciò richiede in particolare il rafforzamento dell’insegnamento delle lingue a tutti i livelli e della dimensione europea nella formazione degli insegnanti e nei curricoli dell’istruzione primaria e secondaria.”

L’insegnamento precoce di almeno una lingua straniera, a livello di scuola dell’infanzia o scuola primaria, è quindi una prima risposta a questa esigenza. Insieme a programmi di apprendimento precoce della lingua, si sta facendo strada in maniera sempre più diffusa la possibilità di un insegnamento bilingue che parta fin dai primi livelli di istruzione.

Prima di valutare le possibilità offerte dall’educazione bilingue, ritengo tuttavia fondamentale considerare tre punti: il primo sarà cercare di fornire una definizione del termine, seguito da una breve riflessione su vantaggi e svantaggi del bilinguismo e da un excursus sulle teorie legate all’apprendimento linguistico. Non è possibile a mio avviso parlare di educazione bilingue senza prima aver affrontato questi “passaggi fondamentali”.

 Definizione di bilinguismo

Definire il bilinguismo è una preoccupazione costantemente espressa nei libri e in molti articoli che trattano l’argomento. E’ tuttavia un compito complesso: in base alle esperienze individuali con il plurilinguismo, all’attitudine personale o al proprio ambito di ricerca, l’opinione su cosa sia il bilinguismo può variare in maniera considerevole.

Prendiamo ad esempio Ó Riagáin e Lüdi, che in uno studio promosso dal Consiglio d’Europa, considerano il bilinguismo come

“l’abilità di comunicare in due (o più) lingue, indipendentemente dal livello di competenza, dalle modalità o età di acquisizione e dalle relazioni psicolinguistiche tra le diverse lingue che compongono il repertorio del parlante.”

Nonostante, a livello funzionale, questa definizione sia corretta, non ci si può esimere da un’analisi più approfondita del concetto al momento di valutare rischi ed opportunità di un’educazione bilingue. In primo luogo, come indicato in precedenza, occorre sottolineare la multidimensionalità del fenomeno, che fa riferimento a competenze, componenti e conoscenze differenti. In secondo luogo, il termine riguarda esperienze molto diversificate, per cui l’esposizione ad una seconda lingua ed il relativo livello di performance in entrambe risulta determinato da una molteplicità di fattori quali la storia personale dell’individuo e il contesto di acquisizione delle lingue, nonché da fattori più specifici quali l’età, il tempo e la qualità dell’esposizione alle stesse. Secondo Brooks

“il bilinguismo consiste nella capacità da parte di un individuo di esprimersi in una seconda lingua aderendo fedelmente ai concetti ed alle strutture che di tale lingua sono propri, anziché parafrasando dalla lingua nativa.”

Mac Namara afferma invece che

“per considerare un individuo bilingue è sufficiente che esso si dimostri abile in uno solo degli aspetti riguardanti il linguaggio (fonologici, morfologici, lessicali, semantici e sintattici).”

Renzo Titone infine sostiene che esistano non solo diversi gradi, ma anche diversi tipi di bilinguismo. N.-F. Mackey, nel suo libroLanguage Teaching Analysis (1965), ne descrive un certo numero:

  • gli individui che parlano due lingue correntemente, ma la cui lingua materna continua ad esercitare un’influenza manifesta sull’uso e la pronuncia della seconda lingua;
  • gli individui che parlano due lingue, ma nessuna delle due come un autoctono;
  • gli individui che possiedono strutture e vocabolario di due lingue come autoctoni, ma ne pronunciano bene solo una;
  • gli individui che pronunciano alla perfezione due lingue, ma padroneggiano solo la grammatica di una delle due;
  • infine gli individui che padroneggiano un vocabolario ugualmente esteso in due lingue, ma in campi molto diversi.

Gli esempi citati rappresentano solo alcune delle innumerevoli definizioni legate al bilinguismo. Quello che appare chiaro è che il termine bilinguismo esprime un concetto relativo, per cui non ci si deve porre la domanda: “Questa persona è bilingue?”, ma piuttosto “In che modo è bilingue?”. Questa distinzione rende tuttavia difficile qualsiasi tipo di discussione sul problema del bilinguismo.

Per cercare di fare una descrizione, seppur incompleta, del concetto di bilinguismo, ho deciso di partire dallo schema proposto da Hamers e Blanc, adattandolo però a questo studio e analizzando in particolare quattro dimensioni:

 

Dimensioni Tipo di Bilinguismo
1. Competenza linguistica a.                  Bilinguismo bilanciatob.                  Bilinguismo dominante
2. Età di acquisizione a.                  Bilinguismo precoce o simultaneob.                  Bilinguismo consecutivoc.                  Acquisizione tardiva
3. Organizzazione cognitiva a.                  Bilinguismo compostob.                  Bilinguismo coordinato
4. Ambienti di uso della L2 a.                  Bilinguismo familiareb.                  Bilinguismo scolastico

 

  1. La competenza linguistica

Quando si parla di competenza linguistica si identificano quattro  dimensioni: comprensione, competenza orale, lettura, competenza scritta. Queste dimensioni vanno a formare la cosiddetta competenza comunicativa, che permette di utilizzare la conoscenza della lingua per rispondere ai bisogni pragmatici generati in un dato contesto. Sono molte le persone che conoscono perfettamente le regole grammaticali, ma che poi non riescono a sostenere una breve conversazione con un madrelingua. Altri invece sono in grado di comunicare, ma non sanno scrivere correttamente in lingua straniera. In questi casi non possiamo considerare una persona come bilingue, in quanto la sola competenza orale o scritta non è sufficiente. E’ più corretto affermare che una persona è bilingue se ha un’ottima competenza comunicativa, vale a dire che i livelli di competenza nelle quattro dimensioni del linguaggio sono elevati e permettono quindi scambi comunicativi efficienti e formulati in maniera corretta nelle due lingue.

Sulla base della competenza linguistica si tende a distinguere il bilinguismo bilanciato, in cui la competenza nelle due lingue conosciute dal parlante bilingue è equivalente, da quello dominante, in cui la competenza in una delle due lingue è superiore all’altra.

  1. L’età di acquisizione

Acquisire due lingue simultaneamente o farlo consecutivamente può ripercuotersi sul rapporto tra funzioni cognitive, sviluppo del linguaggio e capacità comunicative e sociali in tali lingue. Nel definire la nostra idea di bilinguismo, dovremo prendere in considerazione l’età di acquisizione. Parleremo quindi di:

– bilinguismo precoce (o Bilingual First Language Acquisition, BFLA) o acquisizione simultanea quando i bambini sono esposti fin dalla nascita a due lingue contemporaneamente. Esso riguarda quei bambini che, dalla nascita fino almeno ai sei anni, sentono regolarmente due lingue. Solitamente, questi bambini capiscono bene entrambe le lingue, ma è possibile che inizino a parlarne prima una poi l’altra.

– apprendimento precoce di una seconda lingua (Early Second Language Acquisition, ESLA) o acquisizione consecutiva è quello che riguarda i bambini che iniziano ad essere esposti regolarmente ad una seconda lingua intorno ai tre anni. Anche in questo caso, i bambini mostreranno segnali di comprensione molto prima di cominciare a parlare nella seconda lingua.

Si parla infine di acquisizione tardiva quando la seconda lingua viene appresa dopo la pubertà.

  1. L’organizzazione cognitiva

Relativamente al rapporto tra sistema semantico e concettuale, è possibile individuare due tipologie di bilinguismo che riflettono altrettante organizzazioni cognitive. Esse tentano di spiegare il modo in cui due lingue coesistono in uno stesso individuo, definendo il tipo di relazione esistente tra le parole delle due lingue conosciute e i relativi concetti.

Parleremo così di bilinguismo composto quando alle parole equivalenti dei due lessici corrisponde un unico concetto, mentre nei casi di bilinguismo coordinato ne corrispondono due. Secondo questa distinzione esisterebbero due differenti modi di processare le due lingue, modi il cui sviluppo sarebbe intrinsecamente legato all’età e al tipo d’esposizione alla seconda lingua. Coloro che hanno acquisito le due lingue fin dalla nascita tenderebbero ad avere un bilinguismo di tipo composto, mentre i bambini esposti successivamente alla seconda lingua tenderebbero ad averne uno di tipo coordinato. Tuttavia, sebbene esista un’importante relazione tra i fattori indicati, non è possibile affermare che esista una corrispondenza biunivoca, per cui un bambino bilingue (simultaneo o consecutivo) può sviluppare contemporaneamente un sistema linguistico composto per alcuni concetti e coordinato per altri.

  1. Ambienti di uso della seconda lingua

Solitamente il bambino BFLA impara entrambe le lingue nello stesso ambiente (pensiamo per esempio a due lingue parlate a casa, una delle quali viene parlata anche fuori casa), mentre il tipico bambino ESLA impara le due lingue in due ambienti diversi (ad esempio, una a casa e una a scuola). Questa distinzione sugli ambienti di apprendimento è utile perché può avere ripercussioni sulla quantità dell’esposizione linguistica. Se poi i diversi ambienti offrono più di due lingue, ci troveremo di fronte ad una situazione di multilinguismo.

E’ importante ricordare tuttavia che i punti sopra indicati non pretendono di rappresentare un panorama esaustivo, dato che il dibattito sulla classificazione è ancora aperto. La mia opinione personale, alla fine di questa presentazione è che fondamentalmente esistano tre tipi di bilinguismo:

– il primo è un bilinguismo parentale, in cui i bambini acquisiscono la L2 fin dalla nascita grazie alla presenza di due genitori che parlano con il bambino due lingue diverse;

– il secondo è un bilinguismo sociale, dove i bambini acquisiscono la L2 fin da piccoli, ma non all’interno del nucleo familiare. Questo è il caso di famiglie immigrate, in cui entrambe i genitori parlano una lingua, che però non è la stessa parlata nel Paese in cui la famiglia comprare accutane online. In questo caso l’acquisizione della L2 verrà stimolata dall’interazione con i gruppi sociali con cui il bambino avrà a che fare fuori dal nucleo familiare;

– il terzo è invece un bilinguismo scolastico, che prevede che i bambini acquisiscano la L2 solo nel contesto scolastico. È il caso di bambini che frequentano scuole bilingue o scuole in cui la lingua prevalente non è quella parlata dai genitori (mi riferisco a scuole bilingue italiano-inglese, italiano-tedesco, italiano-francese o alle varie British School, American School etc.)

Quello che accomuna i tre gruppi è l’età precoce di acquisizione linguistica, che è a mio avviso uno dei punti fondamentali che definiscono la possibilità di essere considerato bilingue.

Vorrei concludere questo paragrafo con una breve riflessione: le accezioni del termine possono essere infinite, ma qualunque modello di bilinguismo deve a mio avviso evitare di considerare il bilingue come due monolingui in uno o di classificare i bilingui in categorie che siano fisse ed immutabili. È necessario però che si sviluppi una vera teoria linguistica del bilinguismo, che affronti in questa prospettiva tutte le problematiche fin qui sviluppate a partire dal monolinguismo e che sia in grado di fare fronte alle richieste di una società sempre più multiculturale e quindi multilinguistica.

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